• Che cos’è la psicoterapia online?

    La psicoterapia online è una peculiare modalità di intervento psicologico a distanza, dove il rapporto tra professionista e paziente viene mediato da moderne tecnologie che operano attraverso internet.

    La psicoterapia online è stata regolamentata in Italia dalle ‘nuove linee guida per le prestazioni psicologiche a distanza’ (CNOP, 2017) che definisce modalità e accorgimenti che il professionista deve seguire per mantenere il proprio intervento entro parametri di adeguatezza, competenza e riservatezza anche nel definire quando può essere o non essere adatta.

    In generale la psicoterapia online ha mostrato risultati equivalenti a quelli della consueta modalità faccia-a-faccia (Barak et al., 2008) e può essere un veicolo alternativo o addirittura preferibile sulla base del gradimento personale del paziente. Questo perché la psicoterapia online offre alcuni vantaggi generali:

    • Maggiore flessibilità organizzativa rispetto all’appuntamento in studio,
    • Maggiore disponibilità per pazienti che hanno difficoltà a giungere presso lo studio per ragioni di lavoro o perché abitano in zone con limitato accesso a professionisti qualificati o per persone che parlano lingua italiana ma sono residenti all’estero,
    • Facilitazione per l’accesso a percorsi di cura per persone che si trovano in condizioni psicologiche difficili (es. attacchi di panico, ansia sociale).

    La psicoterapia online può essere sincrona o asincrona o un misto delle due. La psicoterapia online è sincrona se prevede un contatto in tempo reale attraverso piattaforme di chat o video chiamata e favorisce il contatto diretto anche tra persone distanti, senza perdere immediatezza o la possibilità di un contatto personale. La psicoterapia online è asincrona quando si realizza in tempi differiti (es. posta elettronica, forum o software specifici come InTherapy), in questo caso favorisce la possibilità di estendere il raggio di intervento di un professionista più vicino alla quotidianità del paziente e può rendere i contenuti di una consulenza sempre accessibili al paziente attraverso il suo smart phone. L’integrazione delle due modalità può essere utile per trarre beneficio da entrambe le potenzialità.

    Come funziona la psicoterapia online?

    È possibile richiedere un appuntamento per un primo colloquio online, tramite il modulo di contatto oppure utilizzando whatsapp.

    Al primo contatto verranno inviate al paziente tutte le credenziali per poter accedere al colloquio, compreso il consenso informato e alcune informazioni di base sullo svolgimento del primo incontro.

    È possibile usare la piattaforma Skype o Zoom oppure videochiamate con whatsapp.

    Il primo colloquio ha lo scopo di comprendere e valutare le caratteristiche del problema e valutare una proposta di consulenza e/o psicoterapia ivi compresa l’adattabilità delle necessità presentate alla modalità online.
    Il servizio di psicoterapia online è conforme alle linee guida espresse dall’Ordine Nazionale degli Psicologie e dall’Ordine degli Psicologi della Toscana. I dati e le informazioni raccolti sono trattati nel pieno rispetto della normativa sulla privacy (D. Lgs. 196-2003). La psicoterapia online è effettuata tramite strumenti software e hardware adeguati in termini di protezione dei dati.

    A mio parere, anche se le ricerche dimostrano l’efficacia della terapia online, l’incontro in studio rimane la scelta che io preferisco, ma altrettanto comprendo che vi siano delle condizioni che ne impediscono la fattibilità e in alcuni casi addirittura confermo che sia anche più efficace oppure l’unica possibilità, quindi come diceva Freud stesso: dove non possiamo arrivare correndo, arriviamo zoppicando e, come dicono le scritture, zoppicare non è reato.

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  • L’ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da due cluster fondamentali di sintomi: l’inattenzione e l’iperattività-impulsività.Normalmente quando si sente parlare di ADHD tale patologia viene associata immediatamente ad un soggetto in età evolutiva. È vero che tanti dei bambini che presentano ADHD ottengono buone risposte al trattamento entro la prima età adulta, ma alcuni di loro continuano a lamentare sintomi in età adulta anche molto diversi da quelli presenti nel bambino. Non ci capiterà di vedere un uomo adulto con ADHD correre per la stanza o comportarsi in maniera oppositiva con altri adulti. Infatti l’ADHD è una patologia che tende a manifestarsi con modalità differenti nelle diverse fasi della vita, quindi bambini e adulti con la medesima psicopatologia potrebbero essere caratterizzati da fenotipi molto diversi, al punto che alcuni autori si sono chiesti se sia necessario definire l’Adult-ADHD come un disturbo differente. Per quanto riguarda l’infanzia, tendenzialmente qualsiasi bambino in età prescolare presenta una scarsa concentrazione unita ad alti livelli di attività e impulsività, nonostante ciò i bambini con diagnosi di ADHD spiccano. Questi bambini mostrano una forte irrequietezza motoria, molto spesso non finalizzata, ed una povera intensità di gioco. Spesso a tali sintomi possono accompagnarsi un ritardo dello sviluppo, comportamento di tipo oppositivo e abilità sociali al di sotto della media.

    Queste caratteristiche si ripercuotono in molti casi sullo stile parentale a causa dell’alto livello di stress dovuto alla frustrazione di un bambino che non risponde ai comandi: in molti casi quindi il genitore esacerba il comportamento del bambino utilizzando uno stile parentale maggiormente autoritario. Infatti un outcome frequente è l’emergere di conflitti genitori-figli caratterizzati da una diminuzione dell’efficacia genitoriale e da un aumento dello stress.

    L’ADHD in età scolare

    Per quanto riguarda l’età scolare, sembra che questi bambini siano a maggior rischio di esperire un fallimento accademico, così come un rifiuto da parte dei pari e un basso livello di autostima. In questa fase della vita inizia a risultare evidente come gli altri membri della famiglia si rifiutino di prendersi cura del bambino o anche come quest’ultimo non venga invitato a giocare da altri bambini.

    In adolescenza l’iperattività tende a diminuire, ma persistono sintomi quali l’inattenzione, l’impulsività e l’irrequietezza. Questi possono ripercuotersi sullo sviluppo di un coeso senso di sé, inoltre è possibile che ragazzi con ADHD sviluppino comportamenti aggressivi e antisociali.

    Gli adolescenti con ADHD riportano di avere maggiori conflitti con genitori e pari e sono maggiormente a rischio di abbandono scolastico, gravidanze precoci e comportamenti criminali.

    L’ADHD in età adulta

    I pazienti con ADHD in età adulta hanno manifestazioni diverse di inattenzione, impulsività e iperattività. Quest’ultima potrebbe manifestarsi come irrequietezza, prolissità o eccessiva agitazione anche in situazioni in cui è richiesto di stare fermi, per esempio nel corso di un meeting o durante le lezioni universitarie. L’impulsività potrebbe esprimersi come impazienza, tendenza ad agire senza pensare e incapacità di tenersi un lavoro o di portare avanti relazioni personali. Infine, l’inattenzione potrebbe esplicitarsi con il sentirsi spesso annoiati, incapaci di prendere decisioni, ma anche con la tendenza a procrastinare gli impegni o con l’essere disorganizzati e distratti.Comunque in età adulta il tipo prevalentemente inattentivo di ADHD sembra essere quello con più alta prevalenza: infatti la domanda esterna in termini di attenzione cresce con l’età e ciò rende l’impairment più evidente. Questi sintomi, in primo luogo l’inattenzione, l’irrequietezza e l’eccessivo mind wandering, sarebbero la spiegazione per cui questi pazienti risultano essere meno propensi a iscriversi all’università. I pazienti riportano che il mind wandering che esperiscono sia caratterizzato da pensieri distraenti non focalizzati e di breve durata, che non presentano un pattern ripetitivo o anormalità nel contenuto.

    Le principali difficoltà degli adulti con ADHD

    In età adulta questi pazienti tendono ad avere in generale più problemi relativi al mondo del lavoro a partire dalla ricerca dei primi impieghi fino alla performance lavorativa in sé. Questi soggetti sono a maggior rischio di licenziamento rispetto alla popolazione normale, infatti spesso si trovano a cambiare più volte tipologia di lavoro prima di trovarne uno in cui abbiano successo. Tendono inoltre ad avere problemi interpersonali e difficoltà con superiori e colleghi, spesso causati da assenteismo, eccessivi errori e ritardi.

    I pazienti spesso lamentano un umore fluttuante, incapacità di tollerare la frustrazione e lo stress, irritabilità: tali problematiche sono spesso la causa di difficoltà relazionali con parenti, partners e amici. I problemi interpersonali sono quelli che maggiormente spingono i pazienti a ricercare aiuto. Le relazioni dei pazienti con ADHD sono spesso poco durature e turbolente ed i divorzi sono molto più frequenti.

    Gli adulti ADHD tendono a presentare caratteristiche che in certi casi sono utili a supportare la diagnosi. I disturbi del sonno sono presenti nel 70% dei soggetti: molti riferiscono di essere troppo mentalmente e fisicamente inquieti per addormentarsi.

    La disregolazione emotiva viene indicata anche nel DSM-5 come criterio supportivo alla diagnosi: questa è caratterizzata da labilità emotiva, scarsa tolleranza alla frustrazione ed irritabilità.

    Da un punto di vista neuropsicologico questi pazienti hanno spesso difficoltà nelle funzioni esecutive, in particolare nell’inibizione e nella working memory.

    Anche i comportamenti a rischio sono parte del compromesso funzionamento psicosociale di questi individui. L’uso e l’abuso di droghe è significativamente maggiore nei soggetti con ADHD che non hanno ricevuto un adeguato trattamento così come la guida pericolosa e di conseguenza gli incidenti stradali. È stato stimato che circa un quarto dei soggetti che soffrono di disturbo da abuso di sostanze hanno in comorbidità l’ADHD ed hanno una prognosi peggiore rispetto ai soggetti senza ADHD. Già da bambini, questi pazienti sono associati ad un più alto livello di sensation seeking, un tratto di personalità definito dalla ricerca di esperienze e/o sensazioni e da una maggiore facilità di assumersi rischi per raggiungere tali stati.

    Risulta quindi evidente come il disturbo si manifesti in maniera significativamente differente in età adulta. Molto spesso questi pazienti sono misdiagnosticati e quindi non trattati in maniera adeguata, vengono infatti inquadrati o all’interno di disturbi affettivi di Asse I come la Depressione Maggiore o il Disturbo Bipolare o all’interno dei disturbi di Asse II, specialmente il Disturbo Borderline di Personalità (BPD). Ciò avviene anche a causa dell’inadeguatezza dei criteri diagnostici di cui disponiamo attualmente, che sono modellati per una diagnosi in età evolutiva. Comunque, nonostante questi siano rimasti invariati anche nell’ultima versione del DSM, sono stati aggiunti diversi esempi per aiutare il clinico ad applicare correttamente i criteri ad un soggetto adulto. Rimane di fondamentale importanza sviluppare strumenti per identificare l’Adult-ADHD in modo tale da poter fornire trattamenti adeguati ai soggetti che ne soffrono.

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  • Quasi un terzo della popolazione adulta italiana è in sovrappeso e le cure, efficaci all’inizio, non perdurano nel tempo: come mai?  In Europa, nel 2016, per una porzione che va tra il 15% e il 30%, la popolazione veniva identificata come obesa, con una percentuale particolarmente elevata in Paesi come la Gran Bretagna, la Repubblica Ceca e l’Ungheria. Nel 2012 in Italia oltre il 31% delle donne in età adulta era in sovrappeso e il 25% presentava una vera e propria obesità. Si parla di sovrappeso quando l’Indice di massa corporea (IMC) dell’individuo, valutato in base al peso in funzione dell’altezza, è tra 25 e 30, mentre si definisce “obeso” chi ha un IMC che supera il valore di 30. Gli interventi volti a ridurre il sovrappeso e l’obesità includono sia trattamenti chirurgici, come l’inserimento di bypass gastrici, gastrectomie e bendaggio gastrico, sia terapie psicologiche come la cognitivo-comportamentale, affiancata dall’educazione alimentare e dall’incremento dell’attività fisica. Entrambi i tipi di trattamenti, anche combinati, risultano efficaci nel breve termine, ma purtroppo i risultati ottenuti, in termini di diminuzione di peso e modificazioni dello stile alimentare, non perdurano nel tempo. I motivi che spiegano la scarsa stabilità dei risultati iniziali sono poco chiari. Uno dei fattori che sicuramente gioca un ruolo è rappresentato dalla difficoltà dei pazienti a stabilizzare il nuovo regime alimentare, senza ricadere nei soliti circoli viziosi. È ragionevole ipotizzare che nell’individuo obeso o sovrappeso vi siano dei meccanismi di disfunzionali consolidati nel tempo e che questi in qualche modo interferiscano con il consolidamento dei nuovi apprendimenti.

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  • 13 Aprile 2017 /  ansia, Disturbo Ossessivo Compulsivo, DOC

    dal Blog scuole APC SPC

    di Graziella Pisano e Valentina Di Mauro
    curato da Francesco Mancini

    Uno dei principali sintomi del DOC è il dubbio persistente, che può invadere molti domini di azione; per ora è ben chiaro che le persone con DOC non hanno fiducia nella propria memoria il che è associato al controllo ripetuto. I teorici del DOC hanno osservato che i dubbi sono relativi anche alla loro stessa percezione, alle preferenze, ai desideri, alla comprensione di stati interni propri e degli altri.

    Tali dubbi pervasivi possono portare ad una varietà di comportamenti patologici tipici, inclusi l’eccessivo auto-monitoraggio, i controlli, la ricostruzione mentale, domande incessanti e richieste di rassicurazioni esterne. Secondo la descrizione classica del DOC stilata da David Shapiro (1965) le persone con tendenze ossessivo-compulsive hanno perso “l’esperienza della convinzione”, ovvero hanno una diminuzione della capacità di accedere direttamente ai loro sentimenti, desideri e preferenze e devono ricorrere ad indicatori esterni per inferire questi stati interni. Per usare la metafora di Shapiro le persone con tendenze ossessivo-compulsive possono essere paragonate a piloti che volano di notte, che devono contare sugli strumenti di volo piuttosto che sulla propria visione. Continua a leggere »

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  • 17 marzo – giornata mondiale del sonno. #giornatamondialedelsonno #worldsleepday

    Per un terapeuta CBT (Cognitive Beahaviour Therapy) l’insonnia è un tema ricorrente da trattare in Terapia. Se non come unico sintomo, ma certamente spesso frequente assieme ad altri disturbi.

    Sebbene, soprattutto in comorbidità con altre psicopatologie, l’insonnia sia più di un sintomo, tale da portare alla decisione di una Psicoterapia, proviamo ad elencare alcuni suggerimenti che possono già migliorare la qualità del sonno.

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  • Fidarsi è meglio. Altrimenti non cresci.

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    di Giancarlo Dimaggio

    Articolo pubblicato su inserto La lettura del Corriere della Sera, domenica 25 Gennaio 2015

    OLAFNell’infanzia si formano legami di attaccamento su cui fondiamo il senso di amabilità e valore personale. Comunicando con gli altri comprendiamo le menti. Nel mondo di finzione acquisiamo flessibilità e capacità di relazioni emotive. Poi esplodono gli ormoni, si spaiano le carte e diventa tutta un’altra storia.

    “In principio tutto era vivo” inizia Notizie dall’interno di Paul Auster. Parla di infanzia, il periodo in cui si costruisce ciò che diventeremo da adulti. Dalla nascita fino all’inizio della pubertà il bambino ha un’attività psichica incessante, elettrica, pulsante. Il suo mondo interno si fonda su dei pilastri. Continua a leggere »

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  • Dott.ssa, lei è una Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, puo’ spiegarci di cosa si tratta?

    panicoLa Psicologia, si occupa dei problemi emotivi e della percezione di sé e del mondo ormai da più di 100 anni e ancora prima se ne occupavano i filosofi. Possiamo dire che un approccio teorico efficace alla gestione dei problemi emotivi – in generale quindi alle psicopatologie – coincide con la comparsa e la diffusione, nel mondo della psicologia, del modello cognitivo comportamentale (Cognitive Behavioral Therapy CBT), negli anni Sessanta.

    Tale modello postula una complessa relazione tra emozioni, pensieri e comportamenti, sottolineando come molti dei nostri problemi (che possiamo definire disfunzionalità emotive) siano influenzati da ciò che facciamo e ciò che pensiamo nel presente, qui ed ora.

    Questo vuol dire che agendo attivamente ed energicamente sui nostri pensieri e sui nostri comportamenti attuali, possiamo liberarci da molti dei problemi che ci affliggono da tempo e che certamente abbiamo costruito nel tempo. Mi preme quindi sottolineare, che la CBT non è indifferente al passato e alla narrazione del paziente, sono piuttosto le tecniche che agiscono sul qui e ora. Continua a leggere »

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